giovedì, Aprile 24, 2025
CinemaTonino delli Colli, il maestro dello fotografia

Tonino delli Colli, il maestro dello fotografia

Se c’è una cosa a cui presto attenzione più di tutto il resto in un film, è la fotografia: L’utilizzo delle luci, la scelta delle inquadrature; sono sempre affascinato dal modo in cui si può trasmettere un messaggio o un’informazione soltanto attraverso un’immagine ben studiata. A parte rare eccezioni (come Vittorio Storaro, che citerò diverse volte nell’articolo), i direttori della fotografia sono delle figure che stanno di solito un po’ defilate dalle luci della ribalta. Non è da meno neppure Tonino delli Colli, uno dei più grandi maestri della luce italiani di cui però in molti neanche conoscono il nome.

Butto là qualche titolo: La vita è bella (Roberto Benigni, 1997), C’era una volta in America (Sergio Leone, 1984), Salò o le 120 giornate di Sodoma (ma in generale quasi tutti i film di Pasolini), Pasqualino Settebellezze (Lina Wertmüller, 1975) La morte e la fanciulla (Roman Polanski, 1994).

Ma partiamo un attimo dal principio.

C'era una volta in America

Chi è il direttore della fotografia?

Il direttore della fotografia è una delle figure più importanti della troupe cinematografica, perché ha il compito di decidere come rappresentare visivamente le cose scritte sulla sceneggiatura. Solitamente lavora a strettissimo contatto con il regista, ma può godere anche di una propria autonomia.

Si tratta di una figura che deve possedere sia competenze tecniche che doti artistiche, infatti non si tratta soltanto di “illuminare una scena” o decidere se riprendere in primo piano o in mezzo busto. Il direttore della fotografia deve riuscire a trasmettere al pubblico l’anima della scena con tutti i mezzi a sua disposizione. Si tratta di un lavoro complesso e proprio per questa ragione il già citato Vittorio Storaro (che ha vinto ben 3 Premi Oscar) ha coniato la definizione “autore della fotografia”, secondo lui più appropriata.

Tonino delli Colli

Gli esordi

Il giovane Tonino delli Colli inizia a muovere i primi passi sotto l’ala protettrice di Ubaldo Arata (Roma città aperta) nel 1938, cioè a soli 15 anni. Cominciò a firmare le prime direzioni della fotografia già durante la guerra, con qualche film del filone dei telefoni bianchi.

È sua la fotografia del primo film italiano a colori, Totò a colori, nel 1952. Come ricorda Tonino delli Colli, «questi colori ebbero un ruolo fondamentale nella costruzione di un’atmosfera quasi surreale, più conforme al varietà che al cinema».

È molto probabile, sempre secondo le dichiarazioni del direttore della fotografia, che avessero affidato a lui il lavoro, perché nessuno si voleva prendere questa gatta da pelare. Infatti la produzione fu molto improvvisata, inoltre le pellicole a colori dovevano essere illuminate più di quelle in bianco e nero: «Le luci furono bestiali, a Totò spesse volte gli fumava la parrucca. […] Una sera si sentì male, aveva la parrucca arroventata perché, oltre ai riflettori, attorno alla macchina da presa si accendeva, al ciak, una corona di lampade che era ribattezzata “il mostro”».

Totò a colori

La fama e il sodalizio con Pasolini

Continua la sua carriera dopo alcuni film importanti con Dino Risi, Mario Monicelli e Mario Bava, inizia il suo sodalizio con Pier Paolo Pasolini. Già con Accattone (1961), si fa notare da grandi registi, infatti, nonostante il film sia acerbo dal punto di vista registico, alcune tecniche nello sviluppo della pellicola lo rendono memorabile dal punto di vista visivo.

È una cosa che molti filmmaker, videomaker e fotografi danno per scontato oggi, ma sarà proprio durante queste prime esperienze con Pasolini che Tonino delli Colli capirà che per rendere più drammatiche le scene in esterni, era preferibile girare in controluce (ossia con la luce del sole proveniente da dietro i personaggi). Altro importante lavoro dal punto di vista visivo è senza dubbio La ricotta, l’episodio diretto da Pasolini nel film collettivo Ro.Go.Pa.G. dove si mischia il bianco e nero con un colore quasi accecante, molto vicino alla pop-art.

Accattone

Premi e Sergio Leone

Dopo Accattone, la carriera di Tonino delli Colli è stata tutta in crescendo. Iniziano a fioccare i primi Nastri d’argento nel 1965 con Il Vangelo secondo Matteo e nel 1968 con La Cina è vicina. Inizia anche l’altra collaborazione storica con Sergio Leone: sono suoi i celebri primissimi piani dello scontro a tre in Il buono, il brutto, il cattivo ed è sua una dell’inquadratura più celebre della storia del cinema, della viuzza da cui si vede il Ponte di Manhattan in C’era una volta in America.

Come ho detto all’inizio, presumo che non fosse un uomo di molte parole, infatti in merito ai film girati con Leone, nell’unica intervista che sono riuscito a trovare Tonino delli Colli si lamenta della musica di Morricone usata in sottofondo mentre giravano. 

«Tutto il giorno co’ ‘sta musica… Che era utile, eh. Ma alle volte non potevi neanche parlare perché c’era questo disco che girava».

Gli ultimi anni

Molti registi, negli ultimi anni della carriera tendono a perdere un po’ di smalto o a diventare la parodia di sé stessi. Non so se vada meglio per i direttori della fotografia in generale, ma di sicuro Tonino delli Colli è invecchiato bene come il vino. Infatti negli anni ‘80 inizia a collaborare con Federico Fellini per i suoi ultimi tre film. Dirige la fotografia anche per Il nome della rosa e per due film di Roman Polanski: Luna di fiele nel 1992 e La morte e la fanciulla nel 1994.

La sua carriera si conclude con La vita è bella, film premio Oscar del 1997 diretto da Roberto Benigni e con una valanga di Nastri d’argento e David Di Donatello, di cui l’ultimo proprio per il film con Benigni.

C’è qualcosa di molto genuino nella fotografia di Tonino delli Colli, qualcosa che non si trova nelle (bellissime) inquadrature, ad esempio del già pluricitato Storaro. E per definire questo qualcosa, forse è giusto utilizzare le sue parole: «ho sempre cercato di illuminare le storie usando la semplicità dei miei sentimenti e lasciandomi guidare dall’istinto».

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