Mi ritengo abbastanza preparato sul cinema italiano e sul neorealismo, eppure questo film non era mai apparso nel mio radar. Si tratta de Il tetto, l’ultimo film neorealista di Vittorio de Sica. L’ho scoperto per caso mentre ero alla ricerca di un film legato alla parola “muratore” per l’ultima puntata del nostro podcast The Neon Picture Show.
Il tetto
L’ultimo film neorealista di Vittorio de Sica
Il neorealismo è stato un movimento cinematografico che si è sviluppato durante la seconda guerra mondiale ed è continuato fino a metà degli anni ‘50. I film aderenti a questo filone raccontano la vita delle classi lavoratrice e più disagiate, parlando dei problemi (economici, sociali e morali) del dopoguerra italiano. I film sono spesso ambientati all’aperto, in mezzo alle rovine dei bombardamenti e tra i loro interpreti figurano spesso attori non professionisti.
Roma città aperta, ad esempio, è forse il titolo più famoso legato al neorealismo, ma gran parte dei più film più belli della storia del cinema italiano appartengono al filone: Ladri di biciclette, Umberto D., Sciuscià, La terra trema. Come sempre io rimando alla lista dei 100 film italiani da salvare che è stata la mia bussola per conoscere il cinema italiano. Il tetto non compare nella lista, ma aprirò una petizione affinché vi venga inserito.

Trama
Il tetto è un film del 1956 e come molti dei film neorealisti, fotografa la società dell’epoca meglio di qualsiasi altro documento. A metà degli anni ‘50, infatti, a Roma ci fu una grandissima crisi abitativa che innescò il fenomeno dei baraccati e dell’autocostruzione. In breve, le persone, non avendo la disponibilità economica per acquistare o affittare una casa, preferiva comprare il materiale edile, radunare un gruppo di muratori e costruirsi una casetta abusiva.
Il film pare sia ispirato a una storia vera e racconta la storia di Natale e Luisa, che subito dopo il matrimonio si trovano senza un tetto: il padre di lei, infatti, decide di non aiutarli perché non gli era stato chiesto il consenso per il matrimonio; la casa di lui, invece, è composta da due o tre stanze in cui convivono una decina di persone.
Dopo un terribile tentativo di convivenza con la famiglia di lui e dopo una lite con il cognato, i due sposini decidono di andarsene. Lui dormirà per un po’ in una baracca sul cantiere dove lavora come muratore, lei si appoggerà alla famiglia dove prestava servizio prima di sposarsi. I due non dormono sugli allori, ma subito cominciano a cercare un posto dove poter abitare. Luisa capita in una baraccopoli, dove alcune signore le spiegano che con sole 100.000 lire (circa 1.700€ attuali) o anche meno, visto che il marito è muratore, possono costruirsi una casetta abusiva in uno spiazzo.
Il problema è che questa casa deve essere costruita in pochissimo tempo: le guardie staccano alle otto di sera e ricominciano a lavorare alle otto di mattina. La casa deve essere costruita in queste poche ore notturne e se la mattina non è pronta (e soprattutto, se manca il tetto) le guardie la faranno demolire, facendo perdere così al costruttore tutti i soldi investiti.

Una tensione degna di un film d’azione
Natale accetta, comincia a radunare alcuni suoi colleghi muratori e compra tutto il materiale. Arriva la sera, ma non fanno in tempo a scaricare tutto che le guardie, avvisate da un altro residente della baraccopoli, gli dicono di non costruire, altrimenti avrebbero demolito tutto.
Dopo un primo momento di sconforto, i due sposi radunano tutti e si spostano in un’altra baraccopoli, dove iniziano a costruire: il tempo scarseggia, l’acqua per il cemento non è proprio a portata di mano e in più i muratori ingaggiati non sono tra i migliori su piazza. La situazione è disperata, ma Luisa, ingoiando l’orgoglio, decide di andare a chiedere aiuto al cognato con cui avevano litigato, un ottimo muratore.
Ormai è l’alba, manca soltanto un ultimo pezzo di tetto e stanno arrivando le guardie. Le signore che vivono nelle baracche, dicono a Luisa di rinchiudersi dentro la casa con un loro bambino: se le guardie la trovano dentro e, in più, con un figlio, non possono demolire la casa né cacciarli.
Arrivano le guardie e il tetto è ancora incompleto, me i due sposini si sono rinchiusi dentro, sembra tutto perduto, ma le guardie, mosse a compassione, pur vedendo che la casa non è completa, si limitano a fare una multa a Natale.

Un classico da riscoprire
È un periodo in cui sono piuttosto sensibile quando guardo i film e mi emoziono con poco, ma Il tetto mi ha tenuto con il fiato sospeso fino alla fine e mi ha commosso. Il film ha vinto il Nastro d’Argento per la miglior sceneggiatura, ma nonostante questo, il giudizio critico di Gianni Rondolino (forse il più grande critico e storico del cinema italiano) non è stato clementissimo: «Ad una visione superficiale, il film pare possedere quel vigore espressivo che erano la caratteristica dei primi film di De Sica e Zavattini. Ma a uno sguardo più attento e nella prospettiva storica odierna risaltano evidenti gli artifici di un soggetto e di una narrazione che del primo neorealismo mantengono spesso gli elementi esteriori più facili e superficiali».
Diciamo che il problema di questo film è quello di arrivare fuori tempo massimo, dopo molti film più importanti che affrontano in maniera più o meno diretta il tema (mi viene in mente l’Onorevole Angelina). Ma questo, a mio giudizio, non toglie valore a un bel film, ben girato e che ti tiene incollato allo schermo fino all’ultimo secondo.