È iniziato tutto nella notte di capodanno 2021, quando, complice l’alcol e il prezzo dei biglietti molto vantaggioso decido di prenotare i biglietti per The Rocky Horror Show a Milano. Ricordo ancora la videochiamata con la lingua impastata e io che cerco di sfoggiare il mio miglior accento inglese per pronunciare il nome dello spettacolo, mentre chiedo ai miei amici quanti biglietti prenotare.
Lo spettacolo sarebbe dovuto andare in scena a fine ottobre 2021. Una delle mie amiche, nell’attesa, è rimasta incinta. Già avevamo programmato la rottura delle acque durante il “jump to the left” del Time Warp e la conseguente corsa in taxi con le contrazioni. Il tutto vestiti con calze a rete e corsetto di pelle. Purtroppo (o per fortuna) non è successo niente di tutto questo: per colpa del Covid lo spettacolo è stato rimandato di un anno. L’amica ha partorito tranquilla in ospedale.
Vabbè, sarà per la prossima.
L’attesa del piacere è essa stessa il piacere
L’attesa è stata lunga, ma necessaria. Non si trattava infatti di una produzione italiana: si trattava del tour mondiale della produzione inglese del Richard O’Brien’s Rocky Horror Show. E, senza nulla togliere alle produzioni italiane (o forse sì, anche togliendo qualcosa), vale davvero la pena attendere tanto per godersi uno spettacolo del genere.
A parte alcune scappatelle nel West End di Londra, non è la prima volta che vado a vedere un musical internazionale in tour: era già successo nel 2018 a Torino con Evita, con la regia di Bob Tomson. Non ero un grande fan prima di vedere lo spettacolo, adesso lo ascolto a giorni alterni.
Con me in quell’occasione c’era anche Lisa, che non è l’amica incinta, ma una performer di musical che fa parte di Neon. Lisa aveva già visto il tour europeo The Rocky Horror Show nel 2015 e quando, in quella fatidica notte di capodanno ho prenotato i biglietti, la prima cosa che mi ha detto è stata “Oddio, c’è da cominciare a pensare al tuo outfit!“
Tacchi, corsetti, calze a rete e glitter
Infatti, per chi non lo sapesse, è buona abitudine partecipare a The Rocky Horror Show vestiti per l’occasione. Cercate nell’armadio i vestiti più trasgressivi ed eclettici che avete e indossateli. Non preoccupatevi, non sarete soli e nessuno vi giudicherà: lo spettacolo infatti ha un nutrito numero di fan che colgono l’occasione di ogni replica per liberarsi di qualsiasi tabù. E la regola d’oro è: “There will always be someone who looks more out of place than you do!”
In mezzo a piume di boa, a distinti signori in tacco a spillo e accanite fan vestite da Magenta ci ritroviamo davanti al Teatro Arcimboldi. Aggiustiamo il trucco e scattiamo qualche foto. C’è il divertimento di essersi vestiti in maniera trasgressiva, ma c’è anche qualcosa di più: il non sentirsi in imbarazzo, non sentirsi giudicati, c’è una sensazione particolare di libertà.
Prima di entrare a teatro, non bisogna dimenticarsi di ritirare il fan kit.
“Asshole!”, “slut!”
Già, perché quando si partecipa al The Rocky Horror Show, non c’è soltanto da vestirsi adeguatamente, c’è da prepararsi a una sorta di rituale. Nei nostri fan kit c’erano dei guanti di lattice, un cotillon, un foglio di giornale, delle carte da gioco e un libretto di istruzioni per ballare il Time Warp. The Rocky Horror Show infatti è uno spettacolo in cui il pubblico può e deve interagire non solo compiendo delle azioni specifiche o ballando, ma anche gridando delle risposte ai personaggi e insultandoli. È buona etichetta gridare “asshole!” ogni volta che Brad viene citato o appare in scena. Stessa cosa vale per Janet che verrà carinamente chiamata slut.
Io ero vergine, come si dice in gergo, perché non avevo mai assistito a The Rocky Horror Show dal vivo. E nonostante avessi cercato di prepararmi, leggendo tutto il possibile (inclusa la guida ufficiale per vergini), non ero pronto. O forse ero troppo attento allo spettacolo. Per fortuna nella fila davanti a me, in abiti anonimi e dal look insospettabile, sedeva un signore di mezza età che mi ha dato tutti gli attacchi per tutte le azioni e le risposte. Grazie sconosciuto per non avermi fatto fare la figura del verginello.
Ma non si chiama The Rocky Horror Picture Show?
Eppure credevo di essere preparato, ho visto il film la prima volta da ragazzino. Più e più volte, senza capirlo mai troppo. Ma no, vederlo dal vivo è tutto un altro tipo di esperienza. Il film del 1975, The Rocky Horror Picture Show, è la riduzione del quasi omonimo musical uscito un paio di anni prima. Lo spettacolo, in cui già recitava Tim Curry, ebbe un notevole successo ma lo stesso non si può dire per il film. All’inizio non lo vide praticamente nessuno. Fu quando cominciò a essere proiettato come film di mezzanotte che un pubblico di affezionati diede origine al culto, iniziando a rispondere e a urlare durante la proiezione. Da quel momento in poi l’interattività è diventata una delle caratteristiche principali delle proiezioni e delle rappresentazioni dal vivo.
Quindi, anche se avete visto il film in TV durante la programmazione notturna di tanti anni fa (come ci racconta Lisa in questo articolo), non vale. Dovete considerarvi ancora vergini, mi dispiace.
La mia prima volta
Eccoci finalmente allo spettacolo: quasi due ore di musica, sesso, trasgressione, danze sfrenate. Il pubblico più esperto grida, il narratore risponde. Si capisce di assistere a qualcosa di più di uno spettacolo. Non sono mai stato un tipo da concerti, ma immagino che chi va a vedere la propria rockstar preferita si senta allo stesso modo. Sapere che insieme a me ci sono migliaia di persone che cantano “Janet!” durante Damn it, Janet! mi fa sentire a casa.
Alla fine, comunque, non siamo ancora soddisfatti, il cast torna alla ribalta e si esibisce di nuovo nei brani più celebri. Tutto il pubblico è in piedi, canta a squarciagola Sweet Transvestite e balla il Time Warp. È elettrizzante. L’ultima chiamata alla ribalta viene riservata alla band che si esibisce dal vivo, in alto sulla scena. Musicisti incredibili, così come è incredibile tutto il cast.
Quindi è stato tutto perfetto? Sì, ma…
Proprio come la prima volta, piena di imprevisti, di sensazioni, di fluidi corporei e odori non preventivati, la troppa perfezione stride un po’ in questa mia prima esperienza con The Rocky Horror Show. Mi sono alzato dalla poltroncina eccitatissimo, ma convinto che mancasse qualcosa. Ho raggiunto Lisa, che era seduta lontano da me, e ho scoperto che aveva avuto la stessa sensazione.
Uno spettacolo perfetto, ma…
Lisa era seduta con i suoi colleghi di Accademia del Musical e con la sua insegnante che ha commentato: “tutti bravi, spettacolo bellissimo, cast molto omogeneo, ma…” e non ha saputo spiegare quel “ma…”.
È quel “ma…” che avevo in testa quando mi sono alzato. Ci siamo un po’ confrontati nei giorni successivi e abbiamo concordato che ci aspettavamo qualcosa di diverso. Lo spettacolo era davvero eccezionale, i performer bravissimi, ma… non era abbastanza sporco. La troppa pulizia delle performance, delle coreografie, dell’ensemble, ci è parsa più adatta a uno spettacolo classico, come potrebbe essere Grease. Senza inficiare la qualità della produzione, ci saremmo aspettati qualcosa di più grezzo. Magari meno coreografie e più trasgressione. Meno chic e più camp.
Lisa, mi ha portato l’esempio di The Rocky Horror Show visto nel 2015, una produzione eccezionale, con alcuni interpreti iconici, ma con quel quantitativo di “sporcizia” e di gotico che forse mancava nella produzione che abbiamo visto quest’anno.
Per portarmi un esempio dello spettacolo del 2015, Lisa ha fatto il grosso errore di inviarmi questo video della performance di Stuart Matthew Price, nei panni di Riff Raff. Mi sento in dovere di condividerlo, ma attenzione: crea dipendenza.
Ritorno alla quotidianità
Insomma, finisce lo spettacolo, scambiamo due parole. Attendiamo invano il cast per qualche foto e poi è il momento di rientrare. Sono in treno, quindi decido di struccarmi e di nascondere gli shorts e il corsetto sotto una tuta. Lo faccio con un po’ di malumore.
C’è quell’atmosfera triste di festa finita, ma c’è anche la presa di coscienza che per un uomo farsi un viaggio in corsetto su un treno non sia proprio una buona idea. Forse è una preoccupazione un po’ provinciale, ma ho ancora in mente la gente che indicava e mi scattava foto quando avevo i capelli rosa. O la gente che mi gridava “f****o!” quando avevo i capelli verdi. Ora, non voglio andare in giro in shorts di pelle, non ho il fisico, ma vorrei sapere di essere libero di farlo.
Ecco, perfetto o meno che sia, The Rocky Horror Show in qualsiasi forma, ha il potere di abbattere ogni tabù. Lo ha fatto negli anni ’70 e continua a farlo.
Ce lo ripete più volte: “Don’t dream it, be it!“
Ce lo urla in faccia: “Don’t judge a book by its cover“, non giudicare e fregatene dei giudizi.
E anche se il pubblico si è travestito solo per goliardia, spero che al momento di struccarsi, come me, abbia pensato a quanto sia stata bella questa parentesi di due ore senza pregiudizi.